Il brutto epilogodel grande processodi MAURIZIO CROSETTI
SE LA sentenza di primo grado sul calcio insozzato era sembrata scritta dall'Inquisizione, questo verdetto d'appello è un colpo di spugna imbarazzante e sconfortante. Paga solo la Juve, che comunque era la più colpevole: meno 17 punti in B. Per gli altri è un indultino, o forse un inciucione, perché riporta Lazio e Fiorentina in A e il Milan addirittura in Champions League. È l'espressione del solito tribunale sportivo timido: non solo il nuovo non avanza, ma il vecchio comanda più che mai. C'erano prove schiaccianti, che si voleva di più per condannare? Poca coerenza e pochissimo equilibrio hanno guidato la mano dei giudici della Corte Federale, il cui capolavoro è il perdono di Franco Carraro, per anni la vera sponda dei potenti a Palazzo, l'uomo messo a capo di Lega e poi Federcalcio da Juventus e Milan, anzi da Giraudo e Galliani, perché li aiutasse a trasformare il pallone in un meccanismo di spartizioni economiche e distribuzione di poteri. Missione compiuta. E adesso il presidente di tutte le stagioni, il gran collezionista di poltrone se la cava con 80 mila euro di ammenda, invece dei quattro anni e sei mesi di inibizione. Vedrete che tra poco lo ritroveremo a capo di qualcosa, magari degli Europei 2012, e nel frattempo farà pure l'offeso.
L'aria di perdonismo che negli ultimi giorni soffiava dalle fessure del tribunale, con quel feeling sospetto tra avvocati difensori e avvocati-giudici (la Corte Federale questo esprime) era vera, anche se probabilmente non è giusta. È diventata un vento fortissimo che spazza via quasi tutte le carte della Caf, e con questa sentenza democristiana nega un'autentica possibilità di cambiamento: appena nove mesi a Galliani, che lascia la Lega ma continuerà a incombere, e resta in Europa il Milan che mandava un cuoco a trattare con i guardalinee (almeno, Moggi lo faceva da solo), mentre Lazio e Fiorentina rimangono in serie A con Della Valle che parla di sentenza mediatica proprio come l'avvocato di Giraudo, e sta a vedere che la colpa è di giornali e tivù. Quello che sembrava, e che rimane, il più grande scandalo della storia del calcio italiano, però nel paese dei condoni e dei compromessi, non è tale per i giudici: dopo le scommesse a inizio anni Ottanta, Milan e Lazio finirono dritte in B. Stavolta, peggio che nella prima repubblica del pallone mai davvero archiviata, quasi tutto va in acqua fresca. Non per la furente Juventus che annuncia il ricorso al Tar (ma perché si è scelta un avvocato che in previsione giudicò equa, durante il primo processo, una serie B con penalizzazione e ora parla di sentenza incredibile?), e anche i perdonati giurano che andranno avanti con la carta bollata fino alla fine: puntano, forse, alla medaglia al valore e all'encomio solenne. Inutile si è dimostrato il tentativo di riformare gli organi di giustizia sportiva, con la chiamata (improvvida? intempestiva?) del procuratore Borrelli, al quale qualcosa o qualcuno ha legato le mani. Se questo è il risultato di tanto sforzo di cambiamento, forse valeva la pena lasciare al loro posto gli uomini di prima, senza agitarsi troppo. Gli avvocati difensori insistono sui capri espiatori e sull'assenza di illecito, e sono pagati per non vedere l'evidenza: il marcio era globale, diffuso, era il sistema stesso. Farlo crollare, e ricostruirlo, significava toccare troppi interessi di azionisti, città, sponsor, televisioni. Il ricatto economico, alla fine, si è rivelato l'argomento più efficace. E poi, tutta questa fretta di chiudere, tutta questa smania di tornare in campo e rispettare date e calendari. Ma perché? Per non far ritardare la religione dei campionati? Non era questa la priorità e neppure l'iscrizione dei club alle Coppe. Si poteva davvero cambiare un mondo, invece ci s'illude di averlo salvato eliminando due lupi come Moggi e Giraudo. Non vederli più in azione è già un bel risultato, ma lo sporco del loro calcio rimane.